Giovanni Pierluigi da PalestrinaMISSA “PAPAE MARCELLI” A 6 VOCI
Montefano (MC) 11 maggio 2013
Chiesa di San Donato Ore 21,00″
ACCADEMIA DEI DISSENNATI”
Direttore Marco Scavazza
Soprani: Ambra Luciani, Stella Visciola, Valentina Falasca
Contralti: Adelaide Monti, Andreina Zatti, Vittoria Verducci
Tenori I: Antonio Culicigno, Giulio Fratini
Tenori II: Claudio Laconi, Daniele Ciccalé
Bassi I: Carlo Bonelli, Giacomo Bastarelli
Bassi II: Alessandro Masi, Gionni Scriboni, Lorenzo Chiacchiera
LA SIGNORIA VOSTRA E’ INVITATA A PARTECIPARE
MARCELLO II – Marcello Cervini
(Montefano 1501 – Roma 1555)
(Pontificato 1555)
MARCELLO nacque da Riccardo CERVINI a Montefano (Macerata) il 6 maggio 1501. Uomo colto, umanista, giustamente ricordato per le traduzioni dal latino e dal greco, dal 1526 godette della benevolenza di Alessandro Farnese, il quale, divenuto poi Paolo III, lo volle segretario del suo cardinale nepote; in tal modo ebbe un ruolo importante nella politica dello Stato Pontificio e nelle questioni religiose. Nel 1539 fu nominato vescovo di Nicastro; nello stesso anno ottenne la porpora cardinalizia. L’anno successivo lo troviamo vescovo di Reggio Emilia e, nel 1544 di Gubbio; come vescovo lavorò per una vera riforma ecclesiastica.Distintosi in diverse ed importanti missioni diplomatiche presso la corte imperiale di Carlo V, fu nominato, nel dicembre 1545, insieme ai cardinali Giovanni Maria del Monte (futuro Giulio III) e l’inglese Reginaldo Pole, Legato papale al Concilio di Trento, dove tenne l’effettiva presidenza dell’assemblea. Il compito dei Legati era determinare la scelta degli oggetti di discussione e sorvegliare i dibattiti stessi; nelle questioni più importanti essi ricevevano istruzioni direttamente da Roma. Durante il Concilio combattè con inflessibile risolutezza le tendenze conciliariste.
Nel 1548 Paolo III lo nominò Bibliotecario Apostolico, incarico che gli fu rinnovato a vita da Giulio III. In questo periodo si fece promotore di ricerche storiche e archeologiche. Papa del Monte lo nominò Presidente della Commissione per la riforma ecclesiastica, ma ne venne in seguito escluso per aver criticato la politica nepotista del pontefice.
Alla morte di Giulio III, venne eletto papa, il 9 aprile 1555, assumendo il suo stesso nome, MARCELLO (II); fu l’ultimo pontefice a non cambiare nome all’atto dell’elezione, confermando, tra l’altro, la leggenda che vuole un pontificato brevissimo per i papi che conservano il proprio nome. Immediatamente pose mano a un rigoroso programma di riforma morale della Chiesa, volle frenare e ridurre il lusso e le spese della corte papale, per meglio opporsi alla Riforma protestante e toglierle motivi di accusa. Si propose, con gli stessi intenti, di riaprire il Concilio di Trento; addirittura, per la sua idea spirituale del papato, pensò di abolire anche la Guardia Svizzera. Ma un attacco apoplettico stroncò i suoi propositi e lo portò alla tomba dopo poco più di un mese di pontificato, il 1° maggio 1555. I suoi resti riposano nella basilica di san Pietro.
A lui il Palestrina dedicò, nel 1563, la ‘Missa Papae Marcelli’ a 6/7 voci a cappella. La ragione di questa dedica è narrata nel ‘Mistagogus’ di Lodovico Cresolli Armorici: «…durante le funzioni del Venerdì Santo, il pontefice rimase colpito dal contrasto fra la celebrazione di un doloroso mistero, ben espresso nelle parole del testo liturgico, e il carattere del servizio musicale, eseguito dalla cantorìa: erano polifonie del consueto stile fiammingo, complesse e ampollose, in cui non solo le parole ma anche il significato della ricorrenza sacra venivano sommersi, quasi annullati. Marcello II volle allora spiegare personalmente ai cantori come ben diversamente dovesse intendersi il compito della musica da chiesa, ausilio al sentire e all’intendere la Parola divina (audiri atque percipi)».
Per Palestrina, l’ammonimento del papa dovette essere la conferma di un convincimento già maturato. La Missa Papae Marcelli resta un capolavoro per eccellenza della polifonia sacra romana e si pone in contrapposizione alla coralità luterana che stava dilagando nell’Europa centrale. Concettualmente il capolavoro palestriniano si riassume come la sublimazione di una perfettissima geometria sonora di antica concezione neoplatonica che, valendosi del significato intrinseco della parola e del suono che l’avvolge, giunge a rendere misticamente visibile l’invisibile.